Una delle questioni che da sempre è più controversa in tema di condominio negli edifici è quella della sua natura giuridica. Si tratta di capire se il condominio sia un mero ente di gestione (e in quanto tale non titolare di una posizione giuridica autonoma). Oppure se sia un soggetto giuridico, distinto dai singoli condòmini, autonomo centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive.
La dottrina si è sempre dimostrata divisa sul punto. Tanto è vero che ad un primo orientamento che lo considera come un ente di gestione collettivo che opera secondo una propria individualità in modo indipendente dai condomini si è opposto quello che lo vede come un ente che deve gestire (solo) gli spazi comuni.
Di contro la Corte di Cassazione a Sezioni Unite è intervenuta con la sentenza n. 10934 del 18 aprile 2019, definendo il condominio come soggetto di diritto autonomo.
Cosa significa questo?
Significa che nelle controversie condominiali che riguardano i diritti dei singoli condòmini sulle parti comuni, ogni e ciascun condòmino ha un autonomo potere. Tale potere è individuale rispetto a quello dell’amministratore di agire e resistere per la tutela dei diritti relativi alla sua quota di proprietà. Tanto ciò è vero, che la Corte chiarisce che è addirittura ammissibile che il singolo condòmino possa svolgere un ricorso autonomo in sede di legittimità anche senza avere partecipato alla causa di primo o secondo grado.
Quali i fatti che hanno dato origine alla pronuncia?
Un condominio agiva in giudizio, chiedendo la riduzione in pristino delle opere realizzate da una condomina in asserita violazione del regolamento condominiale. Violazione anche di servitù di passaggio in favore di parti comuni dell’edificio, esercitata da alcuni condomini. La domanda veniva integralmente accolta dal Tribunale.
Avverso la sentenza di primo grado la condomina avanzava appello, parzialmente accolto dalla Corte di secondo grado. Avverso la pronuncia di appello la condomina proponeva ricorso per Cassazione. La causa veniva rimessa alle Sezioni Unite in quanto altra condomina, che non aveva preso parte ai precedenti gradi di giudizio, aveva proposto ricorso incidentale. L’incertezza verteva sulla configurabilità del diritto della condomina che aveva proposto ricorso incidentale per la rimozione delle opere, non avendo la stessa preso parte ai precedenti gradi di merito.
Le Sezioni Unite nella pronuncia n. 10934 sopra citata, accogliendo il ricorso incidentale depositato dalla condomina che era rimasta contumace nei primi due gradi del giudizio. Hanno ribadito in primo luogo l’ammissibilità dell’impugnazione da parte del singolo condomino della sentenza emessa nei confronti del condominio. Non hanno rilevato nel caso di specie l’eventuale mancata impugnazione da parte dell’amministratore a nome del condominio. Hanno precisato poi che “se si riconoscesse al condominio la personalità giuridica, non potrà più essere il singolo condomino, ma appunto solo l’amministratore a nome del condomino, ad agire in via processuale per fare valere i diritti relativi alle parti comuni”.
Una tale conclusione, occorre dirlo, appare ancor più condivisibile a fronte della Riforma del condominio ad opera della Legge 220/2012. Quest’ultima lo ha definito quale ente di gestione sfornito di personalità giuridica e senza autonomia patrimoniale.
Si dà il caso, infatti, che una tale impostazione che prevede l’assenza di personalità giuridica del condominio e la sua limitata facoltà di agire e resistere in giudizio tramite l’amministratore nell’ambito dei poteri conferitigli dalla legge e dall’assemblea, attribuisce ai singoli condomini la legittimazione ad agire per la tutela dei diritti comuni e di quelli personali.
Ed infatti, la Suprema Corte interviene sul punto statuendo che: “una volta riscontrato che il legislatore ha respinto in sede di riforma dell’istituto la prospettiva di dare al condominio personalità giuridica con conseguenti diritti sui beni comuni, è la natura dei diritti contesi la ragione di fondo della sussistenza della facoltà dei singoli di affiancarsi o surrogarsi all’amministratore nella difesa in giudizio dei diritti vantati su tali beni”.
Prosegue la sentenza affermando che “la ratio dei poteri processuali dei singoli condomini risiede nel carattere necessariamente autonomo del potere del condomino di agire a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota”, e di resistere alle azioni da altri promosse anche allorquando gli altri condomini non intendano agire o resistere in giudizio”.
Sulla base di tale assunto è il diritto dell’amministratore ad aggiungersi a quello dei naturali e diretti interessati ad agire per il fine indicato a tutela dei beni dei quali sono comproprietari.
Pertanto, conclude il Collegio che “allorquando si sia in presenza di cause introdotte da un terzo o da un condomino che riguardino diritti afferenti al regime della proprietà e ai diritti reali relativi a parti comuni del fabbricato, e che incidono sui diritti vantati dal singolo su di un bene comune, non può negarsi la legittimazione alternativa individuale”.