Al via dal 30 giugno fino al 5 novembre la mostra Banksy Painting Walls, la “Unauthorized Exhibition” di uno degli street artist più attivi degli ultimi vent’anni. Collocata nella splendida cornice del Palazzo Reale di Monza, negli spazi dell’Orangerie, l’esposizione presenta per la prima volta in Italia tre porzioni di muro originali dell’artista dall’identità ancora discussa realizzate a Londra, nel Devon e nel Galles, e appartenenti a collezioni private.
Scopriamo da vicino la potenza comunicativa di ciascuna opera e del contesto in cui è stata inserita.
I bambini e gli adolescenti di Banksy
Season’s Greetings, Heart Boy e Robot/Computer Boy: questi i titoli dei tre muri mai esposti prima in Italia, fiore all’occhiello del percorso espositivo tra oltre 70 opere originali.
Comun denominatore di questi massicci pezzi d’arte sono proprio i giovani, non di rado messi al centro dei post graffiti e della guerrilla art del writer britannico. Come sintetizza Paolo Pilotto, sindaco della città e presidente del Consorzio Villa Reale e Parco di Monza: “Il linguaggio immediato della street art è uno degli strumenti più diretti dei giovani per rivolgersi al mondo degli adulti”.
Ad esempio, nulla come un bambino che assapora letteralmente l’arrivo della neve, la quale però è cenere della spazzatura di un bidone in fiamme dietro l’angolo (Season’s Greetings, in copertina), è in grado di denunciare il livello di inquinamento della città nella quale l’opera simbolo della mostra è apparsa, Port Talbot.
Se già questa attenzione alle generazioni maggiormente sensibili ai temi toccati dall’artista inglese rappresenta una significativa porzione del valore dell’attivismo di Banksy, è importante considerare un ulteriore aspetto capace di rimettere in discussione il concetto stesso di arte.
La street art tra democrazia e sacralizzazione
Quale tipo di trasformazione opera il mercato dell’arte nel momento in cui va a mettere un recinto, a “sacralizzare” qualcosa di pensato come accessibile a tutti quale un graffito? È stata questa riflessione il punto di partenza della curatrice di Banksy Painting Walls, Sabina de Gregori, la quale ha voluto rendere questo percorso un progressivo allontanamento delle opere dal loro contesto originario in favore della musealizzazione. Al culmine di questa trasformazione in feticci ormai incapaci di parlarsi con la comunità di riferimento (i writer) e con l’osservatore-passante, troveremo proprio i tre mastodontici, intoccabili muri che rinnovano il significato delle parole di Banksy quando affermava che:
Un muro è una grande arma. È una delle cose peggiori con cui colpire qualcuno.